Farmaci falliti per forme conclamate diventano utili per quelle lievi
Anche se attualmente non esistono trattamenti per fermare la progressione dell'Alzheimer, i risultati di studi scientifici aprono a nuove speranze per la prevenzione di questa devastante malattia. A ricordarlo, in occasione della Giornata Mondiale della Malattia di Alzheimer che si è celebrata il 21 settembre, è la Società Italiana di Neurologia (Sin). Nei pazienti affetti da Alzheimer, le cellule cerebrali nell'ippocampo (parte del cervello associata alla memoria) sono spesso le prime a essere danneggiate. Per questo la difficoltà nel ricordare informazioni recentemente apprese è spesso il primo sintomo della malattia, seguito da una progressiva perdita di autonomia. Durante lo scorso anno sono stati interrotti alcuni studi promettenti su nuove terapie, perché non rilevavano una sufficiente efficacia.
Ma questo non significa che non si continui a fare ricerca nel campo. Le sperimentazioni cliniche attuali si sono rivolte infatti alla fase iniziale della malattia, spiega Carlo Ferrarese, direttore scientifico del Centro di Neuroscienze di Milano dell'Università di Milano-Bicocca. "Dopo il fallimento dei farmaci somministrati nella fase di demenza conclamata - chiarisce - dati recenti indicano che, agendo nelle fasi iniziali di declino di memoria, gli stessi farmaci potrebbero rallentare la progressione verso la demenza conclamata, perché si sono dimostrati efficaci nel bloccare l'accumulo nel cervello della proteina beta-amiloide". Nell'attesa dei risultati di queste terapie sperimentali, conclude, "nuovi studi indicano che vi sono efficaci strategie per ridurre la probabilità di ammalarsi in soggetti anziani normali e con iniziali sintomi di decadimento cognitivo: ovvero evitare i fattori di rischio cardiovascolare" come ipertensione, diabete, obesità, fumo e vita sedentaria
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